Storia del qb

Anni fa, ho partecipato ad Introduzione alla Permacultura, un corso di 12 giorni, tra pratica e teoria, sulla permacultura; ogni giorno si affronta un argomento differente e alla fine del percorso i partecipanti arrivano ad avere una visione panoramica della materia.
In quei giorni, tra il modulo sull’acqua e quello sull’orto, emerge il concetto del qb, definito come la misura più naturale che ci sia. Ne parliamo in merito alle scelte e alla declinazione dei principi in regole e sentendo quelle parole sono folgorata dalla semplicità di questa idea, tanto banale quanto potente.
qb, quanto basta.
Nella permacultura non ci sono regole ma principi; mi piace molto questo aspetto perché trovo che sia un bel modo di creare una direzione condivisa e al tempo stesso lasciare la libertà di metterla in pratica.
Un po’ perché non siamo tutti uguali e un po’ perché viviamo in zone diverse con tessuti sociali e culturali diversi, è difficile definire regole di comportamento e di azioni che siano permaculturali o no, quindi dato il principio ognuno è responsabile della declinazione e concretizzazione dello stesso.
Questo concetto della giusta misura per declinare i principi rimane in stand by nel mio cervello per un po’ fino a quando non nasce l’idea di terraepaglia.
Quanta acqua metto?
Costituiamo l’impresa formalmente nel 2015 e già da prima abbiamo modo di lavorare insieme con i materiali naturali. Da sempre nei workshop che teniamo, una delle domande più ricorrenti è quella sulle ricette degli impasti.
Quanta acqua? Quanta terra? Quanta sabbia?
Sebbene sia ovvio cercare una proporzione per creare l’impasto, quelle richieste di dosi ci hanno sempre fatto riflettere sul fatto che dando una giusta misura avremmo velocizzato il processo produttivo ma al tempo stesso avremmo diminuito l’efficacia dell’apprendimento.
Perché la giusta misura con i materiali naturali è qualcosa da trovare, da sperimentare, da esplorare. E perché nella ricerca della giusta misura, come in tutti gli esperimenti scientifici, l’essere umano che fa l’esperimento è determinante per il risultato.
Perché si, difficile crederlo ma è così.
La giusta misura negli impasti non esiste.
Anestetizzati da ricette precise e premiscelati a cui aggiungere solo una dose esatta di acqua, non siamo più allenati a conoscere e comprendere quello che ci circonda attraverso l’esperienza.
Nel caso degli impasti di terra cruda con materiali locali, di cui quindi non si conoscono precisamente le caratteristiche ma sono da capire di volta in volta, esiste un range entro il quale l’intonaco funziona, e per funziona, intendiamo non fessura ed ha una buona resistenza.
Ma è appunto un range.
Perchè ad esempio un intonaco può funzionare anche se aggiungiamo un secchio in più di sabbia che ci aiuta ad ottenere una texture più rugosa oppure se abbondiamo con un secchio in più di acqua per facilitare la messa in opera.
L’abilità dell’artigiano e della muratrice sta appunto nel conoscere e nell’applicare quel qb, quella misura entro la quale l’intonaco si adatta alle nostre esigenze senza perdere di funzionalità.
La nascita del logo
Come attitudine di base siamo abbastanza immuni alle ricette e anzi abbiamo una spiccata tendenza a metterle in discussione, quindi questo approccio esperienziale ai materiali e al loro utilizzo ci è venuto, da sempre, molto naturale; potremmo dire che l’idea del qb la applicavamo ancora prima di teorizzarla.
Così quando è stato il momento di ideare il logo dell’impresa, la scelta del simbolo è venuta spontanea. Aiutati anche dalla semplicità grafica delle due lettere, che sono opposte ed equilibrate, le abbiamo girate in orizzontale per mantenere il significato proponendo una nuova prospettiva da cui guardare le cose.
E il cambio di punto di vista è un modo nuovo di guardare un mondo conosciuto.
L’edilizia può trasformarsi e accogliere nuovi principi e nuove proposte accettando che le persone sperimentino e trovino la loro giusta misura nel rispetto dei principi comuni.
Sfida e responsabilità.
Per noi il qb è diventato nel tempo molto più di un modo per conoscere gli impasti che realizziamo con i materiali naturali.
E’ un concetto, quello della ricerca della giusta misura, che attraversa diverse dimensioni.
A partire da quella materica “quanta terra?” “quanta sabbia?” che di volta in volta, di cantiere in cantiere, sperimentiamo e troviamo, il qb ci interroga anche a livello umano, sulla giusta misura del nostro lavoro: quanto impegno dedicare alle diverse attività? Quanta passione è necessaria e quanta ne trasmettiamo? Quanto tempo vale la pena aspettare per vedere realizzati i progetti? Qual’è la giusta misura della fatica e della dedizione?
E oltre a noi e alla materia, il qb ci parla di relazioni: quanto dobbiamo spingerci? Quanto dobbiamo connetterci? Quando è abbastanza?
Meta finale
E così il quanto basta da metodo di lavoro e di scelta, si è evoluto anche in meta finale a cui tendiamo.
Perché trovare la giusta misura è il nostro modo di portare avanti il concetto di edilizia sostenibile con materiali naturali.
E’ nostro contributo in questo mondo edile, la nostra proposta di valore nelle costruzioni e nelle ristrutturazioni: cercare e trovare, ogni volta, la modalità più giusta, studiando e ascoltando ogni singolo caso, verso la scelta più sostenibile in termini di tempo, economia e risultato.
Verso la sostenibilità e con la libertà di scrivere, di cantiere in cantiere, le nostre regole.
Ogni volta quelle che servono, ogni volta quanto basta.