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Pubblicato il: 15 Ottobre 2021

Cantiere partecipato

Cantiere partecipato

Nelle precedenti puntate abbiamo raccontato della nostra ultima esperienza di Erasmus+ e del pavimento in terra cruda che abbiamo realizzato in Slovenia quest’estate. Oggi partiamo da questa ultima avventura (+ un’altra) per riflettere insieme sull’impatto di prendere parte al cantiere: cosa significa e cosa comporta diventare attivə nei processi costruttivi e come prepararsi alla fatica (perché spoiler, ce ne sarà da fare tanta!).

Pavimento durante l’Erasmus+

Come dicevamo nei post dedicati a questa impresa partecipata (qui e qui), una cosa sicuramente interessante di tutto il processo è stata il forte impatto umano nelle varie lavorazioni.
Avevamo scelto infatti che tutte le demolizioni fossero eseguite manualmente con picconi per rompere, pale per rimuovere e carriole per spostare.
Così come lo scavo per il reperimento della materia prima.

Quello che può sembrare follia o gusto per la tribolazione è stato di fatto motivato da semplici constatazioni.

La prima era semplificare i processi perché gli apprendimenti fossero più significativi.
Fare eseguire uno scavo direttamente da una macchina avrebbe reso il tutto più veloce e avrebbe però passato il messaggio, anche solo a livello metacognitivo, che per demolire fosse necessario questo strumento. Certo, si sarebbe potuto spiegare razionalmente che quel lavoro sarebbe stato realizzabile a mano tuttavia l’esperienza diretta avrebbe raccontato il contrario, è la macchina che scava, senza la macchina non si può fare. Farlo con le proprie mani e vedere a fine giornata il risultato e la fatica è un’esperienza che convalida l’informazione “si può fare a mano”, informazione che si può integrare, in caso di necessità, con “chiamo una macchina se mi serve”.

La seconda constatazione nasceva dalla domanda: quali sono le nostre risorse disponibili? Durante lo scambio Erasmus+, quel che non ci manca sono le risorse umane, per cui abbiamo lavorato nell’ottica di valorizzare quelle mettendo a frutto la fatica fisica più dell’utilizzo di macchine esterne.

Risultato

Il risultato è stato interessante: in una giornata e mezza e più di 10 persone coinvolte abbiamo demolito metà del pavimento, parliamo di circa 36 mq. Questo che ci ha fatto pensare di chiedere l’aiuto di una persona con uno scavatore per un paio d’ore per completare l’opera, soprattutto visto i tempi stretti a nostra disposizione.

Grazie a questa scelta decisa in corso d’opera, abbiamo avuto modo confrontare la fatica fisica e il tempo impiegato dalle persone per arrivare allo stesso risultato della macchina; è stato significativo e ha dato a tuttə noi lo spunto per molte riflessioni.

La scelta della bassa macchinizzazione non è stata sofferta e ci ha aiutato davvero a prendere parte al cantiere in modo attivo e attento e a porci in una dimensione di ascolto e apprendimento.
Insomma, in occasione dello scambio Erasmus+ questo tipo di sperimentazione è risultata vincente.

E nei cantieri normali?

Il recupero della manualità e il ritorno alla fatica è più complesso da integrare nei cantieri “normali” in cui magari i committenti, senza per forza voler fare autocostruzione, decidono di prendere parte al cantiere anche solo per ottimizzare delle fasi e risparmiare dei soldi.

Ci è capitato in uno degli ultimi lavori che, per questioni logistiche – casa al primo piano in appartamento e mancanza di montacarichi o terrazze utili per appoggiare i materiali – i committenti si prendessero l’impegno di portare a mano la terra dal cortile al piano di lavoro.

La terra era arrivata in grandi sacchi (big bag) e quindi andava trasferita con i secchi.

Il risultato è stato che la terra è arrivata al piano come previsto, solo che durante il processo tutte le persone coinvolte si sono accorte della fatica richiesta da quella operazione e si sono domandate più volte il senso di tutto questo.
E più faticavano più elaboravano mentalmente modalità alternative a questa semplice operazione di trasporto.
Altri materiali? Altre tecniche costruttive? Altre tecnologie?

Insomma, fuori dal contesto dell’apprendimento e di una compagnia numerosa come era avvenuto durante l’Erasmus, la fatica è stata vissuta solo come fatica e la motivazione per continuare è scemata dopo i primi due sacchi e l’impegno di trasferire il materiale è tornato a noi e alle nostre braccia.

Queste due storie, messe appositamente una insieme all’altra, ci aiutano a guardare il prendere parte al cantiere da più prospettive. Come spesso diciamo non è c’è una cosa giusta e una sbagliata da fare a priori: teniamo conto che la fatica ci sarà (ma la fatica può anche essere piacevole a fine giornata, dipende da come la si prende) e il contesto in cui ci si muove può fare la differenza rispetto ad uno stesso lavoro. E quindi anche portare a conclusioni diverse pur partendo dagli stessi punti.

Se partecipi al tuo cantiere, come noi ci auguriamo che tu abbia voglia di fare, abbiamo qualche consiglio.

+ Valuta bene cosa e come farlo.
+ Definisci tempi e modalità che ti sono più congeniali.
+ Pensa senza macchine tutte le volte che puoi
+ Lavora in buona compagnia.

Restiamo in attesa di ascoltare come è andata la partecipazione e cosa hai imparato dalla fatica. 🙂

ps. di partecipazione ai cantieri e di quello che facciamo e organizziamo ne parliamo ogni mese qui!

Sara